sabato 30 aprile 2016

Spiral, il sequel apocrifo

Si chiude oggi lo speciale nato per festeggiare il quinto compleanno del blog. Come da usanza, già ampiamente consolidata negli scorsi anni, questo dovrebbe essere il momento di tirare le somme di tutto ciò che è stato detto e fatto. 
Il problema, se di problema si tratta, è che lo speciale di aprile quest’anno non finisce ad aprile: dopo una breve pausa, “Ghost in the Well” riprenderà la sua corsa, andando a raccontare anche ciò che non è stato sinora incluso negli articoli dedicati alla saga di Ring.
Non sto parlando di una fuggevole coda da inserire qua e là all’interno della normale programmazione, bensì di un altro intero mese totalmente dedicato a Sadako, un personaggio che andremo a (ri)scoprire attraverso gli occhi di registi provenienti dai più disparati paesi del mondo che a loro modo hanno provato a reinterpretarne il mistero. 
Se state pensando che le cose da dire siano quasi terminate, vi basti sapere che, così sue due piedi, mi vengono in mente almeno altri cinque o sei film che ben si adattano a questo speciale. Anzi, ora che ci penso bene sono anche qualcuno di più. 
Tra una recensione e l’altra poi, com’è ormai prassi, è previsto qualche approfondimento, anche se forse meno ovvio, per meglio comprendere le dimensioni dell’Universo Ring. Rimane ancora solo una cosa da fare prima di mettere in pausa questo speciale, vale a dire spendere due parole su Spiral, altrimenti conosciuto con il titolo di Rasen (らせん), un sequel apocrifo uscito nelle sale immediatamente dopo il primo Ring di Hideo Nakata.

mercoledì 27 aprile 2016

Ring 0 - Birthday

Il regista Norio Tsuruta prende il posto di Hideo Nakata sul ponte di comando e nel 2000 realizza ciò che oggi, a posteriori, non esito a definire il punto più alto della serie. Sembra strano che io affermi ciò, visto che solitamente i sequel (o, come in questo caso, i prequel) sono molto lontani dalla grandezza degli originali, ma in questo caso le cose vanno diversamente. Sebbene imprescindibile dal primo Ring di Nakata, Ring 0: Birthday (リング0 バースデイ Ringu Zero: Bāsudei) giunge a mio parere a sfiorare il capolavoro, offrendo agli appassionati della serie ciò che probabilmente nemmeno osavano sperare. 
Ed è davvero facile immaginare che, nelle mani sbagliate, Sadako avrebbe potuto essere trasformata in un villain stile Jason o Freddy, capace solo di seminare morte e terrore facendo leva esclusivamente sul body count, o in un'improbabile, macabra femme fatale. 
Al contrario, Sadako si rivela essere un personaggio addirittura romantico, e umanissimo nel suo provare vette di desiderio, passione, paura. Una volta esauriti i titoli di coda, i nostri sentimenti verso le sue ragioni sono ancora in bilico tra il terrore e la partecipazione. Il motivo? Vi ricordate di Carrie White, la protagonista dell’omonimo romanzo di Stephen King rappresentata al cinema da Brian De Palma? Ebbene, siamo proprio da quelle parti. Gli ultimi giorni di vita di Sakado Yamamura, così ben descritti, cancellano in un solo colpo tutto il castello di immagini che ci eravamo costruiti su di lei nei film precedenti e le donano una nuova profondità. E chi l’avrebbe mai detto?

domenica 24 aprile 2016

Hideo Nakata: Ring 2

Nel 1999, nemmeno un anno dopo il clamoroso successo di Ring, Hideo Nakata torna dietro al timone del franchise e ci regala un sequel davvero degno di questo nome (vi era stato precedentemente un altro discusso sequel sul quale, almeno per il momento, stenderei un velo pietoso). Il secondo capitolo inizia dove era terminato il primo: Ryuji Takayama è stata l’ultima vittima della maledizione di Sadako, perlomeno l’ultima vittima alla cui fine abbiamo assistito. In verità ce n'è stata un’altra, solamente accennata perché andata in scena dopo i titoli di coda: è il padre di Reiko Asakawa, il quale, per salvare la vita al nipotino, si sarebbe sacrificato all’ira di Sadako (un sacrificio involontario, dovuto alla decisione della sua affezionata figliola di dirottare su di lui la maledizione a sua insaputa). Tecnicamente, però, il nonno di Yōichi muore proprio all’inizio di questo sequel, o perlomeno la sua morte viene resa nota nelle primissime battute, il che colloca cronologicamente l’inizio del film a una settimana di distanza dal precedente. 
Il nuovo Ring, che si discosta definitivamente dal romanzo di Suzuki (ignorando bellamente il secondo volume della sua trilogia, per essere precisi), ci piomba addosso con una scena tra le più efficaci dell’intera saga: il sequel inizia all’interno della sala autopsie di un ospedale, dove alcuni medici stanno spingendo un lettino con i resti del cadavere di Sadako Yamamura perché ne avvenga l'identificazione. Veniamo quindi a conoscenza di un particolare agghiacciante: non solo Sadako era ancora viva quando venne gettata nel pozzo, ma rimase viva per ben trent’anni.

giovedì 21 aprile 2016

Nensha, fotografia psichica

Chizuko Mifune (1886-1911)
Finora abbiamo sempre parlato della saga di Ringu come se fosse pura fiction, narrativa incentrata sulla storia inventata di personaggi inventati, ma sarà proprio così? E se vi dicessi che si tratta sì di una storia di fantasia, ma ispirata a fatti realmente accaduti? Per capire di cosa sto parlando bisogna ritornare al primo decennio del Novecento, ovvero al momento storico in cui il Giappone sperimentò forse il periodo di maggiore interesse verso lo Spiritualismo, benché questo non raggiunse mai i livelli registrati in Europa o in America. I protagonisti di questa storia, che comincia nel 1910, sono Tomokichi Fukurai, un assistente alla cattedra di psicologia presso l'Università Imperiale di Tokyo, e tre medium chiamate Chizuko Mifune, Ikuko Nagao e Sadako Takahashi. Al solo sentire questi nomi, ne sono sicuro, vi si è già accesa una lampadina, vero? In effetti, queste donne fornirono il modello per tre tra i personaggi principali della nostra storia, ovvero Shizuko Yamamura, sua figlia Sadako e il dottor Jotaro Nagao. A differenza della quasi totalità dei suoi colleghi accademici, Fukurai credeva nelle percezioni extrasensoriali e, in generale, nel soprannaturale, e quando sentì parlare di una certa Chizuko Mifune (御船 千鶴子) volle conoscerla. Chizuko era nata nel 1886 nella prefettura di Kumamoto e, come dichiarò, aveva acquisito la chiaroveggenza tramite l'esercizio spirituale, e soprattutto una forma di meditazione che prevedeva una particolare tecnica di respirazione profonda. 
È una storia curiosa, perché se è vero che sappiamo ancora troppo poco di questi fenomeni per tracciare delle linee di confine nette fra ciò che è più o meno plausibile in questo campo, è anche vero che Chizuko manifestò le sue facoltà medianiche attorno ai 22 anni: un'età relativamente tarda, considerato che nella maggior parte delle persone queste compaiono durante l'adolescenza.

lunedì 18 aprile 2016

Ogni maledetto video

Abbiamo già accennato a differenze e analogie fra il romanzo di Kōji Suzuki e le varie trasposizioni cinematografiche che nel corso degli anni si sono moltiplicate: ciò che tutte le versioni finora proposte hanno davvero in comune è la maledizione che penetra nel nostro mondo attraverso la tecnologia. Qualche giorno fa ci siamo soffermati a ragionare sul ruolo del televisore, un oggetto di uso quotidiano che in Ring diviene un portale che consente la comunicazione fra il mondo terreno e quello ultraterreno. Il televisore, in questo senso, rappresenta la versione moderna del pozzo o, più nello specifico, un suo prolungamento. Per poter invadere il nostro mondo, Sadako non può permettersi semplicemente di risalire il pozzo; questo probabilmente era sufficiente in un’età più remota, ma per lei è necessario superare un ulteriore ostacolo, quello legato alla modernità che, ai giorni nostri, non lascia più alcuno spazio al sovrannaturale. 
Si dice spesso che, ormai, ci sono fatti che assumono valenza agli occhi del pubblico solo nel momento in cui vengono raccontati alla televisione, come se la realtà al di fuori del piccolo schermo non esistesse; ebbene, in un certo senso Sadako acquista concretezza proprio nel momento in cui si impadronisce della soglia rappresentata dal televisore e la supera, perché è quello il momento in cui la terribile realtà della maledizione viene pienamente accettata dalla vittima, che fino ad allora ne ha riso o che comunque, a dispetto di una strisciante inquietudine, ha continuato a vivere la sua vita come se nulla fosse. Oppure, ribaltando la prospettiva da cui esaminiamo i fatti, possiamo dire che sfruttare la tecnologia significa la piena vittoria di Sadako sulla materia, il trionfo dei suoi tanto vituperati poteri: se risalire da viva le viscide pareti del pozzo le fu impossibile, superare la soglia del televisore è per lei un gioco da ragazzi.

venerdì 15 aprile 2016

Banchō Sarayashiki

A cosa si ispira la terrificante figura di Sadako? Quale oscuro mistero si cela dietro ad uno dei più vendicativi fantasmi del cinema giapponese? Questo è il momento di mettere per un attimo da parte lo speciale dedicato al Ring cinematografico per avventurarsi in una delle più affascinanti leggende della tradizione giapponese, una leggenda che, ormai da diversi secoli, fa tremare (e in parte anche sognare) intere generazioni. La leggenda di Okiku è una delle più antiche storie di fantasmi giapponesi di tutti i tempi, le cui origini risalgono a un tempo talmente remoto che il suo ricordo è andato perduto con il trascorrere dei secoli. Le prime testimonianze certe risalgono al 1741, anno in cui uno spettacolo intitolato Banchō Sarayashiki (番町皿屋敷, The Dish Mansion at Banchō) era in scena al teatro Toyotake-Za che, in ordine di importanza, rappresentava il secondo teatro dei burattini di Osaka (il più importante, il Takemoto-Za, sorgeva esattamente dal alto opposto della strada). 
Non è tuttavia escluso che il Banchō Sarayashiki fosse anche di molto precedente, considerato che il Bunraku ha caratterizzato un po’ tutto il periodo Tokugawa (1600-1867). D’altra parte non è un mistero che Chikamatsu Monzaemon (近松 門左衛門), uno dei più importanti autori di Kabuki e di Bunraku, fosse già attivo nel XVII secolo e i suoi lavori più celebri, The Love Suicides at Sonezaki (曾根崎心中, Sonezaki Shinjū, 1703) e The Love Suicides at Amijima (心中天網島, Shinjūten no Amijima, 1721), dimostrano, nel caso ce ne fosse bisogno, che l’interesse del pubblico era concentrato essenzialmente su storie di intensi amori dai tragici epiloghi e, in quanto a questo, il Banchō Sarayashiki non era davvero secondo a nessuno.

martedì 12 aprile 2016

Hideo Nakata: Ring

Per questo secondo adattamento del romanzo Ring, il regista Hideo Nakata e il suo sceneggiatore Takahashi Hiroshi scelgono di adottare un approccio molto diverso al materiale originale, realizzando in ultima analisi una storia che a tratti approfondisce molto di più il lato umano dei suoi personaggi. Non solo il personaggio di Reiko Asakawa, una donna, è in grado di trasmettere un livello di empatia maggiore della sua controparte maschile, ma c'è la scelta di spostare l’attenzione sul conflitto mai completamente risolto tra una moglie e il suo ex marito. In questo, l’apporto del piccolo Yōichi diviene fondamentale rispetto al passato in quanto l’amore per lui, anche se mai apertamente, è un malinconico aspetto di contesa fra i suoi genitori. Questo aspetto, l’oscillare fra il detto e il non detto, è peraltro molto giapponese, così come molto giapponesi sono alcune sfumature che si possono cogliere in dialoghi apparentemente semplici, come quello in cui il piccolo Yōichi chiede alla madre “Anche da bambini si può morire?”. Da noi in Occidente, a una domanda del genere chiunque avrebbe reagito negativamente, stroncando drasticamente il discorso sul nascere con un secco “No”. Reiko, al contrario, sceglie di rispondere “Solo se ci si ammala gravemente”, dimostrando in questo una sensibilità, nei confronti del suo piccolo e nei confronti dell’esistenza stessa, che vanno ben oltre la nostra capacità di intendere la morte. La morte, ma questa ovviamente è una mia opinione, dovrebbe poter convivere con noi, in maniera del tutto naturale, sin dalla nostra infanzia: solo in questo modo se ne può esorcizzare la paura, solo in questo modo saremo in grado di affrontarla serenamente il giorno che ci toccherà cederle le armi.

sabato 9 aprile 2016

Ring: Kanzenban

La sera del 11 agosto 1995, su un'emittente privata giapponese* andò in onda un film di cui quasi nessuno ha conservato il ricordo: ed è un peccato, perché Ring: Kanzenban (リング 完全版) di Chisui Takigawa è il vero punto di partenza della saga e come tale, almeno in questa sede, è impossibile ignorarlo. Diciamolo fin da subito: Ring: Kanzenban è tutto fuorché un bel film. Difficilmente sarei qui a scriverne se non per puro interesse accademico, soprattutto dopo averlo visto**, giusto qualche settimana fa, con ancora davanti agli occhi le immagini del reboot che tre anni dopo ne sarebbe seguito. Si tratta del classico film per la tivù assemblato con mezzi di fortuna e diretto a mio modesto parere in maniera piuttosto approssimativa. La cosa incredibile è che Ring: Kanzenban può però vantare un interprete di tutto riguardo, quel Yoshio Harada già apparso in pellicole di registi cult come Shūji Terayama e Kōji Wakamatsu, giusto per nominare due fra i più noti ad averlo diretto. Attorno a Yoshio Harada ci sono alcuni accettabili “figuranti”, per lo più gente proveniente da programmi di intrattenimento televisivo, attori improvvisati di cui sono piene anche le nostre fiction. Da segnalare, tra questi, solo la presenza di Miura Ayane, una giovanissima gravure idol che si rivela in quest’occasione decisamente azzeccata nel ruolo di Sadako (anche se sarà facilmente soppiantata dalla bellezza eterea di Yukie Nakama, che quindici anni più tardi ne erediterà il ruolo nel sequel/prequel “Ring 0 – Birthday”). Eppure, nonostante la fotografia imbarazzante e la sceneggiatura a tratti piuttosto “curiosa”, Ring: Kanzenban si lascia guardare con piacere e non annoia mai.

mercoledì 6 aprile 2016

Nel cerchio del pozzo

Andrea raccoglieva violette ai bordi del pozzo. Andrea gettava Riccioli neri nel cerchio del pozzo. Il secchio gli disse - Signore il pozzo è profondo, più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto. Lui disse - Mi basta, mi basta che sia più profondo di me. (Faber)

pózzo s. m. [lat. pŭteus]. – Scavo ad asse verticale, a sezione per lo più circolare, effettuato nel terreno per raggiungere gli strati acquiferi sottostanti, da cui attingere l’acqua (p. filtrante, p. freatico); le stelle tremavano nel secchio che saliva dal buco nero del p. (Claudio Magris); Con allusione alla profondità e all’oscurità dei pozzi: la verità è un p. (oppure sta nel p., è in fondo al p.), è nascosta, non è facile farla venire a galla; voler prendere la luna nel p., mostrare, far vedere la luna nel p. Nella Divina Commedia, nome con cui Dante chiama in più luoghi dell’Inferno la cavità cilindrica al centro di Malebolge, che col suo fondo forma il nono cerchio: Nel dritto mezzo del campo maligno Vaneggia un p. assai largo e profondo (c. XVIII, vv. 4-5). Nome (anche purgatorio di san Patrizio) dato dalla tradizione popolare a una caverna di un isolotto del lago Derg (Irlanda nord-occid.) che, secondo una credenza medievale, immetteva agli inferi: Cristo stesso avrebbe indicato la caverna a san Patrizio, preoccupato di vincere l’incredulità di alcuni irlandesi circa le pene d’oltretomba, e stabilito che chiunque vi si fosse trattenuto un giorno e una notte avrebbe ottenuto il perdono dei peccati. In senso fig., non com., situazione cupa e opprimente, stato psicologico dominato dall’angoscia: dall’amaro p. delle cose passate ... veniva su una forza che mai lui avrebbe osato sperare (Buzzati). – Fonte: Treccani

domenica 3 aprile 2016

Oltre lo schermo

“The Ring” (Ringu, リング) non è stato solo uno dei tanti franchise di successo, quello che ha portato nelle sale cinematografiche una decina di pellicole tra sequel, prequel, remake e reboot, ma ha innescato un fenomeno virale che è proseguito per molti anni e che, sebbene ridimensionato dal tempo, continua ancora oggi in tutto il mondo. Ma quale singolare meccanismo si nasconde dietro lo scatenarsi di un fenomeno virale come può essere quello di una nuova moda cine-horror? La qualità oggettiva di un prodotto, il semplice intervento del caso oppure una combinazione delle due cose? Magari è necessario anche un pizzico di fortuna e il sapersi far venire l'intuizione giusta al momento giusto. Probabilmente la risposta è un giusto mix di tutte queste cose, ma anche la sagacia e la lungimiranza di coloro che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito alla nascita e alla crescita di tale fenomeno. Questo risultato, è bene sottolinearlo, non è limitato al solo franchise di Ring, per quanto questo possa essere di vasta portata, bensì è da estendersi a tutto il filone J-horror che, proprio iniziando da Ring, si è rapidamente allargato a macchia d’olio invadendo in maniera sistematica, per un intero decennio, tutto l’Occidente. Senza nulla togliere agli altri, sono due in particolare i nomi a cui il mondo deve riconoscere la genesi di Sadako e di tutti i personaggi che in seguito saranno in qualche modo ricollegabili alla protagonista di Ring: Kōji Suzuki (鈴木 光司) e Hideo Nakata (中田 秀夫).
Il primo nasce a 13 maggio 1957 a Hamamatsu, nella prefettura di Shizuoka, situata nella regione di Chūbu, un centinaio di chilometri ad est di Osaka, il secondo nasce il 19 luglio 1961 ad Okayama, capitale dell’omonima prefettura, situata nella regione del Chūgoku (San'yō), un centinaio di chilometri ad ovest di Osaka… No, no, non vi preoccupate… stavo solo scherzando. Queste sono informazioni che chiunque può andarsi a leggere su Wikipedia.

venerdì 1 aprile 2016

Nell'acqua salmastra...

E con questo sono cinque! Che cosa? Ma gli anni di blogging, naturalmente! Fu infatti proprio in un uggioso pomeriggio di aprile di cinque anni fa che Obsidian Mirror aprì i battenti e si affacciò sul web. Sembra passato un attimo da allora ma, cavolo, se mi fermo a pensarci sopra, cinque anni sono un’eternità. Quante cose sono cambiate in tutto questo tempo! Il blog è cambiato, io sono cambiato, il mondo è cambiato. Anche i visitatori del blog sono cambiati: molti di quelli della prima ora sono spariti nel nulla, alcuni sono rimasti, altri si sono aggiunti per poi svanire a loro volta e lasciare il posto ad altri ancora. Ho quasi perso il conto di quanta gente si sia affacciata qui, lasciando un segno del suo passaggio in un commento o mettendo una faccia nel widget dei follower.
A volte mi chiedo se qualcuno si è mai accorto che nelle ricorrenze tendo spesso a ripetere le stesse cose, come quel particolare della pioggia in quel pomeriggio di aprile di cinque anni fa. Ma se il pubblico che mi segue è distratto anche solo la metà di quanto lo sono io, allora forse farò meglio a spiegare cosa sta per succedere sul blog a partire da oggi.
È usanza di Obsidian Mirror festeggiare i suoi compleanni con qualcosa di alternativo al solito post con le candeline. Quel “qualcosa di alternativo” è uno speciale che inizia oggi e avrà termine l’ultimo giorno del mese. L’argomento, come non avrete certamente mancato di notare, è annunciato in pompa magna dal nuovo header, posizionato là in cima, che sostituirà quello tradizionale per i prossimi trenta giorni.
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