domenica 30 novembre 2014

Ore d'orrore: Frankenstein (Pt.1)

Ben ritrovati, o piccoli lettori che nulla ormai temete. Solo poche settimane sono trascorse dall'avvincente battaglia tra il vampiro e il nostro Van Helsing piemontese, il dottor Marco Lazzara, conclusasi come tutti ricorderete con la vittoria di quest'ultimo. Nemmeno il tempo di tirare il fiato ed ecco che all'orizzonte si staglia una nuova entusiasmante sfida. Questa volta la sfida sarà "dottore contro dottore". Questa volta non ci sarà alcun vantaggio per il nostro blogger itinerante. Il nostro eroe dovrà misurarsi con un personaggio che è padrone della scienza almeno quanto lui. Signore e signori, sta per affacciarsi su questo blog la macabra figura del dottor Victor Frankenstein, il quale cercherà di opporre la sua agghiacciante creatura, assemblata utilizzando pezzi di cadavere, al coraggio di colui che già vinse il vampiro! Riuscirà la scienza odierna ad avere la meglio sulla scienza dei primi anni del XVIII secolo? Riuscirà Marco Lazzara  a proteggere voi ignari lettori da questa nuova minaccia? Lo scoprirete tra pochi istanti, giusto il tempo di sistemare il testo, posizionare le immagini e di programmare il post. Quando lo leggerete io sarò ormai lontano, nascosto in un luogo sicuro ad attendere fiducioso l'esito dello scontro. E voi? Avete il coraggio di stare a guardare? Ebbene, se è così, questo è il momento di dimostrarlo. Buona fortuna!

mercoledì 26 novembre 2014

Il castello della purezza

Ho imparato a conoscere gli uomini osservando il comportamenti dei topi. Uomini e topi sono la stessa cosa! Ecco perché io non voglio che tu abbia alcun contatto con il mondo. È meglio rimanere rinchiuso qui con i miei topi, piuttosto che avere a che fare con ciò che c'è là fuori. Perché dici questo? Non dovresti parlare così. Non si può paragonare la gente con i ratti. Inoltre, hai sempre amato i nostri bambini. Sì, ma loro sono diversi. Come potrebbero non esserlo dal momento che non hanno mai lasciato questa casa? Non ti rendi conto? Sono 18 anni che io e i ragazzi non usciamo di qui. In 18 anni non abbiamo mai nemmeno visto la strada. Hai anche il coraggio di lamentarti? Al contrario, sono sempre stata molto felice con te. Non c'è niente di meglio che vivere con un uomo come te. Non ho bisogno di niente altro. Questi 18 anni sono stati meravigliosi. Tu sei tutta la mia vita. Non ho bisogno di andare fuori. Ti ricordi quando siamo venuti in questa casa? Utopia era appena nata. Voluntad e Porvenir non hanno mai visto altro che queste mura. Non c'è nient’altro per loro al di fuori di questo. Se non fosse stato per questo, chissà cosa sarebbe stato di noi. Tu conosci il mondo. Te lo ricordi. Tu sai com’è. È ancora così, perché quando io esco lo vedo con i miei occhi. Fidati. La decisione è stata ottima e lo prova il fatto che i bambini qui sono al sicuro, sono puri, sono felici. Al contrario, nel mondo le loro anime sarebbero già stati corrotte.

venerdì 21 novembre 2014

Outside the Wall


Solo poche ore dopo aver portato a termine la lettura di “The Wall”, il concept-book di cui abbiamo parlato qui, mi stavano già balenando nel cervello un milione di domande. L’Autrice aveva raccontato molto di sé ma, allo stesso tempo, aveva lasciato aperte un sacco di questioni. Chi era quella ragazza e perché aveva deciso di affidare la sua anima alle pagine di un libro? Cosa si nascondeva dietro a tutti quei “te lo dico ma non troppo”, a quelle frasi lasciate a metà, a quei riferimenti sottili che parevano nascondersi tra le pieghe della carta?
Il passo successivo è stato quasi automatico: Ornella Spagnulo vive a pochi blog di distanza da me e quindi non è stato difficile accendere il computer e bussare alla sua porta. Ornella si è resa immediatamente disponibile a parlare di sé e del suo ebook qui su Obsidian Mirror, e quello che state per leggere è il resoconto del tempo trascorso insieme dietro la tastiera. Non aspettatevi domande piccanti da parte mia o risposte eccessivamente rivelatrici da parte di Ornella: il bello di “The Wall”, nel caso non si fosse capito, è proprio nel “non detto”, nella flessibilità di un racconto che chiunque, leggendo la storia di una ragazza come tante, può far proprio ed adattare alla propria esperienza personale.
Lascio senza altro indugio le chiavi del blog a Ornella Spagnulo che, vedrete, ne farà buon uso e le cui parole, ne sono certo, non mancheranno di affascinarvi.

martedì 18 novembre 2014

Inside the Wall

“Soli, o a coppie, quelli che davvero ti amano camminano su e giù fuori dal muro. Qualcuno mano nella mano, qualcuno si riunisce in gruppi. I cuori sanguinanti e gli artisti resistono e, quando hanno dato tutto ciò che potevano, alcuni barcollano e cadono. Dopo tutto non è facile sbattere il tuo cuore contro uno stupido fottuto muro.”
Ora, nella mia stanza, ascolto queste parole […] dei Pink Floyd. E capisco che non sapevo ci fosse un muro intorno a me, ma ora che lo so spero tanto che qualcuno passeggi freneticamente su e giù là fuori, e che magari si prenda un tè nel frattempo che mi aspetta, e che non si lamenti se sono una capra che non sa rendersi conto dell’amore, e che passeggi ancora un po’ e che non si stanchi.
Ho impiegato un tempo che non mi spiego per leggere questo minuscolo ebook firmato da quella giovane e simpatica collega blogger che risponde al nome di Ornella Spagnulo. Un anno e mezzo durante il quale quella leggerissima manciata di byte non ha fatto altro che traslocare continuamente da un supporto digitale all’altro, per atterrare definitivamente in quell’e-reader che mi ero regalato la scorsa estate. Sono infine bastate solo poche righe perché mi rendessi conto di quanto era celato in quel piccolissimo spazio di memoria. Il racconto di una vita intera, dai primi anni della fanciullezza sino all’età della consapevolezza, passando da amori tribolati ad amicizie contrastate, descritti come tutti noi vorremmo essere capaci di descriverci pur non sapendolo fare.
No, non è banalmente il recupero delle pagine ingiallite del diario di una ex adolescente pentita, di quelle che cercando bene se ne trovano ormai a milioni in rete. Se così fosse, probabilmente non sentirei il bisogno di parlarne qui sul blog. The Wall è una matura introspezione compiuta a posteriori, un’analisi accurata di trent’anni di vita trascorsi in perenne oscillazione tra certezze e dubbi, gioie e dolori, audacie e paure. Non mancano naturalmente quei piccoli turbamenti e quei piccoli batticuori che trascinano il lettore, quasi in apnea, sino all’ultima riga.

giovedì 13 novembre 2014

Twin Visions (Pt.5)

La prima parte si trova qui.

Jerome Witkin, Jesus (A disbeliever's vision)
In questa rivisitazione delle varie facce dell'Olocausto non possono mancare rappresentazioni di Cristo, l'agnello sacrificale per eccellenza, la vittima predestinata: la vittima ebrea. È il caso di “Jesus (A disbeliever's vision)”, in cui Gesù è calato in un paesaggio urbano decadente, violento; se ne sta in piedi, intento a leggere qualcosa, mentre sottili e inquietanti segnali di minaccia lo circondano (un uomo nell’atto di gettare qualcosa verso di lui, la motosega poggiata per terra, perfino il muro scrostato e pericolante). Nel pannello di destra ci sono un tavolo, quelli che sembrano attrezzi da carpentiere, pezzi di legno a forma di croce, e di nuovo Gesù, questa volta ritratto senza braccia: un Gesù inerme, ma con un serafico sorriso sul viso, forse perché sullo sfondo una scala dorata sembra indicare una possibile via di fuga per lui e, con lui, per tutta l’umanità? Curiosamente, anche in questo dipinto è presente uno dei leitmotiv di Witkin, la valigia.

martedì 11 novembre 2014

Twin Visions (Pt.4)

Jerome Witkin, The Devil as a Tailor
La prima parte si trova qui.

Ma eccoci di nuovo alle prese con “l'altra faccia della medaglia”: Jerome Witkin. Le sue opere sono un'infinità, e anche se tra di esse non mancano ritratti e autoritratti i suoi temi ricorrenti sono le cronache di eventi ordinari e straordinari, inseriti di preferenza in paesaggi urbani. Nel corso della sua lunghissima carriera ha rappresentato normali scene di vita domestica in quadri familiari sconfortanti, ma soprattutto una lunga parata di vittime – dell'Olocausto, del terrorismo, della droga, dell'AIDS – di calamità naturali e causate dall'uomo, riuscendo a convogliare un messaggio di universalità anche alle tragedie più intime.
Che siano opere di piccole dimensioni oppure polittici formati da più pannelli, i suoi sono dipinti drammatici, emotivamente intensi, le emozioni rese tramite un estremo dinamismo.
Per ottenere un effetto narrativo quasi cinematografico, Jerome sviluppa spesso la scena in senso orizzontale su più pannelli, ove le tele utilizzate hanno dimensioni diverse per creare una sorta di piano focale sulle scene prescelte; le pennellate e l'uso del colore fanno il resto. Per questo, per definire la sua pittura si alternano gli aggettivi “narrativa” e “percettiva”. Lui stesso, a rischio di sforare nell’ossimoro, viene definito un pittore figurativo che mescola elementi della pittura classica all’Espressionismo (percepibile soprattutto nei suoi primi lavori) e al Realismo - il Realismo moderno, quello riemerso sul finire degli anni ’60 e nei primi anni ’70 dopo il lungo predominio dell’Astrattismo e della Pop Art, che però nel suo caso non è solo una scelta stilistica, ma anche di significato in quella che sembra, a tutti gli effetti, un’esplorazione dell’umana sofferenza, della sua dimensione intima e spirituale contestualizzata nella storia e nella contemporaneità, inclusi i suoi aspetti più paurosi. Come se per lui l’esperienza visivo-estetica fosse fondamentale anche se non è foriera di bellezza né armonia, ma solo di bruttezza e dolore.

domenica 9 novembre 2014

Twin Visions (Pt.3)

Joel-Peter Witkin, Night in a Small Town
La prima parte si trova qui.

Come i più acuti critici hanno rilevato, chi non ha fede non può essere blasfemo e non stupisce, quindi, leggere di affermazioni come queste rilasciate dal nostro nel corso di varie interviste: Per me queste persone [i freaks, ndr] andavano oltre il normale perché mostravano il genio di Dio e il nostro bisogno di amare, oppure La fede cattolica è sempre stato il mio punto d’osservazione sulla vita; eccetera.
La sua blasfemia, quindi, andrebbe intesa come sintomo di un dualismo interiore (conseguenza della diversa eredità spirituale, cristiana ed ebraica, dei due genitori), di un’insofferenza profonda per la morale e l’estetica cristiana, contro il “peso della religione”, ovvero come tentativo di slegarsi dal conformismo dilagante anche in società che a parole si dichiarano laiche. Ecco allora che le deformità e le anomalie ritratte su cellulosa ed enfatizzate assumono il sapore di un'apocalittica disfatta, il disincanto verso la mortale, fallace e condannata natura umana, una sorta di personale e grottesca danse macabre.

venerdì 7 novembre 2014

Twin Visions (Pt.2)

Joel-Peter Witkin, Crucified Horse
La prima parte si trova qui.

Si può dire che la carriera di Joel-Peter iniziò in un lontano giorno del 1956, quando aveva 17 anni, in un Freak Show di Coney Island, dove tra l'altro si dice che abbia avuto anche le sue prime esperienze sessuali (ma questa è un'altra storia e a noi, in fondo, poco importa). In quell'occasione fotografò nani, ermafroditi, tronchi umani, eccetera - un campionario di umanità triste e reietta, disperata - per la prima volta, e da allora non smise più. Da quel momento, per i suoi scatti ha sempre prediletto soggetti deformi o con qualche tipo di imperfezione o anomalia fisica o psichica. In un'operazione non dissimile da quella fatta nel cinema da un regista come Tod Browning, mette questi “mostri” proprio al centro della scena; e si spinge oltre, mostrando spavaldamente devianze di ogni tipo, incluse pratiche sadomaso o necrofile, “innestando” nei suoi soggetti protesi o parti meccaniche, o travestendoli da personaggi della mitologia greca o romana in composizioni che reinterpretano, stravolgendone il significato, i capolavori della pittura classica e i miti da cui essi derivano, non esimendosi neppure dal ritrarre cadaveri - il tutto condito da una profusione di nudo. Questa scelta (così ricordò, anni dopo) fu per lui istintiva: sua nonna materna - che lo crebbe insieme a sua madre e che lui amava moltissimo - era storpia e fu lei con la sua stessa presenza ad abituarlo alla diversità. Inoltre, nella sua vita ci fu un momento di svolta, un’esperienza che lo segnò nel profondo da bambino, quando vide la testa decapitata di una bambina rotolare sul marciapiede a pochi passi da sé dopo un incidente d'auto avvenuto di fronte a casa.

mercoledì 5 novembre 2014

Twin Visions (Pt.1)

Nascere nella stessa famiglia è come condividere una corsa in autobus, un viaggio a tappe in cui prima o poi ci si ritrova a percorrere parte del tragitto da soli perché ognuno, arrivata la propria fermata, scende e mette della distanza tra sé e gli altri. A volte si tratta di pochi chilometri, a volte di una distanza che pare abissale, ma sempre ci si porta dietro qualcosa di intangibile e indelebile: il legame del proprio DNA. Nascere dallo stesso utero vuol dire avere gli stessi geni, le stesse opportunità, ma tutto questo poi la vita lo plasma in modi spesso imprevedibili. E Jerome Witkin, considerato da molti il più grande pittore figurativo vivente, e Joel-Peter Witkin, il fotografo icona del weird, sono più che fratelli: sono gemelli omozigoti. Il tempo trascorso dall’inizio della loro longeva e straordinaria carriera è testimone che entrambi, in qualche modo, hanno sviluppato una visione artistica inquieta(nte) e originale che non può che derivare dalle comuni radici.
È proprio questo che la mostra “Twin Visions”, inaugurata il primo marzo di quest'anno presso la galleria Jack Rutberg Fine Arts di Los Angeles, ha voluto celebrare. Si è trattato di un evento più unico che raro, dato che i due fratelli non avevano mai esposto nello stesso luogo simultaneamente. Il video di presentazione, se vi interessa, lo trovate in fondo a questa prima parte dell'articolo.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...