venerdì 29 agosto 2014

Il fiume dei sogni notturni

«Vorresti leggere per me, mia cara? Lo trovo così rilassante per il corpo e così stimolante per la mente. Ho occupato troppo del tempo che Camilla avrebbe dovuto dedicare ad altri lavori facendola leggere per me per ore e ore». «Certo» .Cassilda ricambiò il sorriso di Camilla quando questa entrò nel salottino per ritirare le tazze del tè. Dalla sua gioia risultava evidente che la cameriera aveva ascoltato dall’ingresso. «Cosa vuole che le legga?». «Quel libro laggiù vicino al lume» . La signora Castaigne indicò un libro rilegato in tela gialla. «È un dramma recente… un’opera curiosa, come ti accorgerai subito. Camilla me lo stava leggendo la sera che sei arrivata da noi». Mentre prendeva il libro, Cassilda sperimentò di nuovo la strana sensazione di “déja-vu”, e si chiese se avesse mai letto prima The King in Yellow, e dove. «Credo che siamo pronte per leggere il secondo atto», le disse la signora Castaigne.

Sono trascorsi altri due mesi dall’ultima volta che abbiamo parlato degli Yellow Mythos qui sul blog. Pensavo di risucire a metterci mano prima ma il tempo incredibilmente sembra sfuggirmi di mano. Gli Yellow Mythos, già….  c’è qualcuno che si ricorda da dove eravamo partiti? Riassumere in poche righe i post precedenti, ancora una volta, mi sembra eccessivo: vi invito pertanto a recuperare perlomeno il primo della serie, nel quale c’è scritto più o meno tutto ciò che è bene sappiate. Fatto? Ok, passiamo oltre. Ora però è tempo di ricollegarsi al punto in cui ci eravamo lasciati. Vi ricordate? Nel penultimo articolo, che risale addirittura al novembre scorso, avevamo affrontato alcuni spunti scaturiti da un racconto, scritto da Robert W. Chambers nel 1895, dal curioso titolo de “Il riparatore di reputazioni”; spunti che ci avevano portato a ritenere che fosse stato addirittura Oscar Wilde il primo vero, e probabilmente inconsapevole, creatore della mitologia “King in Yellow”. Successivamente, al’inizio di giugno, eravamo tornati a rileggere lo stesso racconto rendendoci conto che, nascosto tra le righe, celato in una sottotrama resa quasi invisibile dall’imponente riflettore puntato sugli avvenimenti principali, c’era stato un omicidio: un omicidio che, ad una lettura superficiale, ci era sfuggito. La vittima sarebbe stata un medico, il dottor John Archer, ovverossia lo psichiatra che aveva in cura Hildred Castaigne, narratore e (a suo dire) futuro successore al trono della dinastia imperiale d’America. Numerosi indizi ci avevo portato a concludere che fosse proprio Hildred Castaigne il responsabile del delitto. Ma era davvero andata così? Nulla si può dare per scontato nella aggrovigliata matassa degli Yellow Mythos.

domenica 24 agosto 2014

L'uomo che restò solo sulla terra

Avete notato che dei romanzi si riporta sempre l'incipit, molto spesso degli estratti e quasi mai la fine? Certamente questo ha a che fare col fatto che, in qualche maniera, riportare il finale di un libro rischia di rovinare la sorpresa a chi dopo di noi volesse cimentarsi con la sua lettura; se sono molte le storie che non riservano un colpo di scena proprio all'ultima pagina, che magari hanno già svelato le proprie carte strada facendo, che addirittura cominciano dalla conclusione per poi raccontarne l'antefatto, è vero però che le ultime parole di uno scritto spesso, anche sottilmente, ne contengono il senso più profondo. Non una rivelazione, no, ma un pensiero che aiuta a quadrare il cerchio, che offre una chiave di lettura a volte inedita, che tradisce i sentimenti dell'autore o ne è la summa. Il mio dilemma, dunque, nel parlare di “L'uomo che restò solo sulla terra” era profondo: citare o non citare le parole che chiudono il racconto, e che costituiscono il vero testamento morale del personaggio di Sam Magruder? Ho scelto una via di mezzo: ne citerò solo una parte, lasciandovi il piacere, se lo desiderate, di recuperare il romanzo e leggere il resto da voi.

lunedì 18 agosto 2014

The Man and his Bird

Regista, sceneggiatore, direttore artistico, animatore, vignettista, insegnante. Anatoly Solin (1939-2014) aveva alle spalle una carriera quarantennale eppure, nonostante ciò, di lui in rete non si trovano che poche righe: nessuna biografia, nessuna intervista, niente di niente. Solo un breve accenno ai suoi trascorsi artistici sulla wikipedia russa. Nemmeno oggi, a pochi giorni dalla sua scomparsa, troviamo un granché. Solo un telegrafico comunicato dell’agenzia Tass nel quale si mantiene il riserbo anche sulle cause della morte.
Diciamo pure che tutto ciò non mi stupisce: Anatoly Solin non è mai stato un personaggio facile, soprattutto in considerazione del fatto che i suoi lavori più significativi sono stati realizzati in un’epoca in cui il suo paese era ben attento a che nulla di ciò che accadeva oltre cortina trapelasse in Occidente. Nemmeno opere di animazione quali "Le avventure del Barone di Munchausen", "Due aceri", "Grazie, cicogna" e "Come una volpe raggiunse la lepre" riuscirono mai ad avere una benché minima visibilità. E ciò è altrettanto vero oggi, nonostante siano passati quasi vent’anni dalla disgregazione di quella che una volta si chiamava Unione Sovietica. Un gran peccato, davvero. Un peccato soprattutto perché Anatoly Solin fu amato da almeno tre generazioni di bambini.

martedì 12 agosto 2014

Il signore del male

Questo non è un sogno. Non è un sogno. Noi usiamo il sistema elettrico del tuo cervello come una ricevente. Non possiamo trasmettere attraverso interferenze consce. Tu ricevi questo messaggio come se fosse un sogno. Noi trasmettiamo dall'anno uno nove nove nove. Ricevi questo messaggio perché tu possa modificare gli eventi che vedrai. La nostra tecnologia è conosciuta da coloro che hanno delle trasmittenti abbastanza potenti da raggiungere il tuo stato conscio e la tua consapevolezza. Ma questo non è un sogno. Tu vedi quello che succede realmente.

Come possono coesistere due argomenti così lontani tra loro come la religione cattolica e la fisica quantistica? Come si può parlare di creazione, di avvento messianico, di apocalisse e cercare di spiegare il tutto attraverso lo studio dei fenomeni connessi con le energie atomiche e subatomiche e comunicando i risultati per mezzo di particelle superluminali? Tutto e niente, mi verrebbe da rispondere così, di primo acchito. E se poi aggiungessimo alla nostra ricetta un po’ del grandioso immaginario legato allo specchio, quell’oggetto così sinistramente radicato nel folklore e nella mitologia di tutto il mondo, ecco che otterremmo “Il signore del male”!
Prima o poi doveva pur accadere che questo blog dedicasse un po’ del suo spazio al principe delle tenebre. Ma non a un “qualsiasi” principe delle tenebre: il “Prince of Darkness” di cui si parla oggi è l’omonimo film ideato e realizzato sul finire degli anni Ottanta da quel vecchio volpone di John Carpenter. Quel “doveva pur accadere” è molto di più che una frase buttata lì a caso: sono anni che rifletto sull’opportunità di scrivere un mio articolo su “Il signore del male”. Addirittura fantasticavo di scriverne ancora prima di aprire il blog. Non l’ho mai fatto finora solo perché non volevo rischiare di scrivere qualcosa che non fosse più che perfetto, per cui ho rimandato e poi ancora rimandato. Fino a oggi.

mercoledì 6 agosto 2014

Rapsodia in agosto

"Nelle stesse circostanze - e sottolineo «le stesse circostanze» sì, lo farei di nuovo. Eravamo in guerra da cinque anni. Stavamo combattendo un nemico che aveva la fama di non arrendersi mai, di non accettare la sconfitta. È davvero difficile parlare di moralità e di guerra nella stessa frase. In una guerra si compiono tante azioni discutibili. Dov'era la moralità nel bombardamento di Coventry, o nel bombardamento di Dresda, o nella marcia della morte di Bataan, o nel massacro di Nanchino, o nel bombardamento di Pearl Harbor? Credo che quando c’è una guerra, una nazione deve avere il coraggio di fare ciò che è in suo potere per vincerla con una minima perdita di vite umane". Colui che pronunciò questa frase, il 93enne Theodore Van Kirk, è morto una settimana fa, il 28 luglio. Era l’ultimo superstite dell’equipaggio del famigerato B-29-45-MO Superfortress, meglio conosciuto come “Enola Gay”, che nel 1945 era in forza al 393º squadrone bombardieri, 509º Gruppo Composito dell'USAF.
Il bombardiere era decollato alle 03:20 del 6 agosto da Tinian, un isola nell'arcipelago delle Isole Marianne, e si era diretto a nord, puntando verso una cittadina del sud ovest del Giappone, placidamente adagiata sulle sponde del mare interno. Era un caldo e soleggiato mattino d’estate e nessuno tra i 300.000 abitanti di Hiroshima poteva prevedere quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Alle 08:14 e 45 secondi, l'Enola Gay sganciò un ordigno atomico da 13 chilotoni sul centro di Hiroshima: dopo 45 secondi, a circa 600 metri dal suolo, la bomba deflagrò e 80.000 persone, le più fortunate, vennero vaporizzate all’istante. Altre 100.000 morirono nei mesi successivi. Si calcola che il totale delle vittime, incluse le persone i cui corpi verranno consumati dalle radiazioni nel corso degli anni, saranno infine oltre 300.000. A questo numero vanno sommate le vittime dell’attacco di Nagasaki, avvenuto tre giorni più tardi, che fu però meno devastante in quanto l’ordigno, sebbene di potenza superiore (25 chilotoni), cadde a 4 km dalla città e il suo effetto venne in parte attutito dalle colline circostanti.

venerdì 1 agosto 2014

Parlando di fumetti underground

Come avevo preannunciato qui sul blog solo qualche giorno fa, è venuto a sedersi nel salotto di Obsidian Mirror l'ideatore del progetto U.D.W.F.G., nonché padre della Hollow Press, una piccola realtà sorta con il fine di diffondere, in questo mondo affamato di nuovi spazi underground, un piccolo sprazzo di cultura alternativa. Il suo nome è Michele Nitri, il quale, come senz’altro noterete leggendo l’intervista riportata qui di seguito, si è dimostrato una persona brillante e intelligente, cosa non da poco, ben lieto di affrontare le domande non facili che avevo in serbo per lui.
Oggi parleremo di fumetti, gente, nel caso non si fosse ancora capito. Ma soprattutto, grazie a Michele, andremo a tuffarci in un mondo incredibile, popolato da grandi artisti e da appassionati disposti a lasciare giù centinaia di euro per poter accapparrarsi un loro cimelio.
Ma bando alle ciance. Vi lascio senza altro indugio all’intervista perché ciò che ha da raccontarci Michele è mille volte più interessante di qualsiasi mia introduzione.
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