mercoledì 27 novembre 2013

A porta inferi redux

Redux, dal latino "reducere", che significa più o meno richiamare alla memoria, riportare a galla, far risalire. È proprio questo infatti lo scopo del post di oggi: dare nuova luce ad un vecchio post dimenticato o, meglio, passato da queste parti oltre due anni fa e rimasto praticamente inosservato. D'altra parte quelli erano tempi di magra per The Obsidian Mirror: zero lettori fissi, zero commenti e pochi contatti, peraltro assolutamente casuali. 
Naturalmente non voglio riscrivere qui ciò che è già stato scritto: tra le altre cose sarebbe anche inutile, visto che quel vecchio post rimane accessibile e facilmente rintracciabile. Voglio tuttavia segnalare che una nuova versione di "A Porta Inferi" esce oggi come Guest Post sul blog di Romina Tamerici, all'interno della rubrica "Lo dicono tutti".
Il termine "Redux", se vogliamo dirla tutta, è spesso adottato nel cinema per indicare una nuova interpretazione di un'opera già esistente, di solito con l'integrazione di scene tagliate dal montaggio originale (l'esempio più noto è senza dubbio Apocalypse Now Redux, il capolavoro che Francis Ford Coppola ripropose nel 2001 aggiungendo 49 minuti al cut originale del 1979). Ebbene anche "A porta inferi" rientra in questo caso: oltre ad un nuovo montaggio sono presenti alcuni nuovi spunti non inseriti nel post originale, una sorta di "Director's cut", per continuare ad usare termini cinematografici. Ma ora bando alle ciance: se volete saperne di più vi invito a passare sul blog di Romina Tamerici. Ci vediamo di là.

venerdì 22 novembre 2013

Il necrofilo

Il post di oggi è un vero e proprio inno al coraggio che dedico a Gabrielle Wittkop, la scrittrice francese che nel 1972 pubblicò il romanzo d’esordio dal titolo, forte, “Il necrofilo”. E, perché no, anche a me che oggi ho deciso di parlarvene, sfidando il vostro probabile sgomento e sicuro disgusto.
Vi capisco, beninteso. Ci vuole del coraggio per battezzare un’opera con un titolo come questo e altrettanto per leggere la storia di un individuo del genere, uno che comunemente è percepito come un pervertito, un malato, un pazzo. Però mi piace la dichiarazione d’intenti dell’Autrice, che non fa sconti e sceglie, fin dal titolo, di presentarci un tema difficile senza girarci attorno, ma nella sua nuda e cruda verità.
Del resto la Wittkop, al secolo Gabrielle Ménardeau (1920-2002) non si è mai tirata indietro davanti ad argomenti scabrosi, macabri, tanto che le sue opere spesso incentrate sul sesso, l’identità di genere e il senso di straniamento sono state accostate a quelle del marchese De Sade, di Auguste de Villiers de L'Isle-Adam, di Lautréamont, di Edgar Allan Poe e anche di Marcel Schwob. Anche la sua vita, coerentemente, fu vissuta in totale libertà, dal matrimonio con Justus Wittkop, un disertore tedesco omosessuale e di vent’anni più anziano di lei conosciuto nella Parigi occupata dai nazisti, all’ammissione della sua stessa omosessualità, fino ad arrivare alla morte forse avvenuta per suicidio (anche se in molti affermano che il cancro ai polmoni la sconfisse prima che potesse attuare i suoi propositi suicidi).

lunedì 18 novembre 2013

Il riparatore di reputazioni

Ricordai il grido straziato di Camilla e le parole spaventose che risuonavano per le vie fioche di Carcosa. Erano gli ultimi versi del primo atto, e non osavo pensare a quello che seguiva: non lo osavo neppure alla luce del sole primaverile, là nella mia camera, circondato da oggetti familiari, rassicurato dall’animazione che proveniva dalla strada e dalle voci dei domestici in corridoio.
Mr. Wilde, questo è il nome che Robert W. Chambers diede nel 1895 al suo “Riparatore di reputazioni”, il personaggio da cui deriva il titolo del primo dei racconti contenuti nell’antologia “Il re in giallo”. Ritorniamo oggi sull’argomento iniziato qui e proseguito sotto l’etichetta comune di Yellow Mythos. A chi si fosse avvicinato solo di recente a questa serie di articoli non posso che raccomandarne la lettura, in particolare dell’introduzione, dove viene spiegato lo scopo di tutto ciò, e dell’ultimo in ordine cronologico, al quale oggi ci ricolleghiamo. Nel suddetto racconto la nostra attenzione era stata catturata dalla descrizione di un misterioso libro dalla copertina gialla, a causa del quale il narratore, Hildred Castaigne, entrò in una spirale di follia dalla quale non sarebbe più uscito. Non ci viene rivelato molto del contenuto di quelle pagine, se non un accenno ad una città di nome Carcosa, illuminata da due soli gemelli e appoggiata sulle rive di un lago di nome Hali. Nel corso del racconto Hildred Castaigne ci introduce un misterioso personaggio, tale Mr. Wilde, di professione “riparatore di reputazioni”.

mercoledì 13 novembre 2013

L'altra Milano

Ho consultato con la massima attenzione le mappe della città, ma non ho mai più ritrovato la Rue d'Auseil. Non mi sono limitato a esaminare le carte moderne: so bene che i nomi cambiano; ho riesumato anche i documenti più antichi, ed ho esplorato di persona tutte le strade che, indipendentemente dal nome, potevano corrispondere alla Rue d'Auseil. Malgrado tutti i miei sforzi, mi son dovuto confrontare con la mortificante conclusione che ero incapace di trovare la casa, la strada e neppure il quartiere dove, negli ultimi mesi della mia squallida esistenza alla Facoltà di Metafisica, avevo udito la musica di Erich Zann. 
Con queste parole iniziava un mio articolo apparso su questo blog circa due anni fa, parole che, lo avrete certamente indovinato, provengono dalla penna di Howard Phillips Lovecraft, il quale le utilizzò come incipit per uno dei suoi racconti probabilmente più noti: “La musica di Erich Zann”.
Il racconto, per coloro che non lo conoscessero, narra la storia di un giovane studente universitario che prende in affitto un appartamento sito al piano sottostante quello di un anziano musicista. Erich Zann trascorre la maggior parte delle sue notti suonando freneticamente con un violino una bizzarra melodia che, si scoprirà alla fine, è l’unico ostacolo che si contrappone ad indicibili orrori in agguato oltre le finestre della sua stanza. Uno degli aspetti a mio parere più inquietanti del racconto di Lovecraft è l’ambientazione: una Parigi onirica, molto simile all’originale ma indubbiamente diversa, sia nei luoghi sia nelle atmosfere.

domenica 10 novembre 2013

Il libro color giallo

Eccomi di nuovo a voi con un nuovo capitolo della serie dedicata agli “Yellow Mythos”. Per chi fosse capitato solo ora su questo blog, e si stesse chiedendo cosa significa quello che sto scrivendo, l’invito è quello di andare a recuperare innanzitutto il post introduttivo e, a seguire, l’intera serie contrassegnata dall’omonima etichetta. La volta scorsa ci eravamo lasciati con un articolo un po’ anomalo rispetto ai precedenti: una specie di racconto, un piccolo tentativo di aggiungere nuove pagine alle migliaia di pagine già scritte da decine di scrittori nell’arco di oltre un secolo. Ho tentato di “romanzare” il mio incontro con il famigerato libro dalla copertina gialla che ha dato il via a tutta questa storia. Naturalmente, e sarebbe difficile immaginare il contrario, la vicenda non è andata esattamente nei termini descritti e, soprattutto, sebbene l’argomento sia estremamente affascinante, il suo effetto su di me è stato decisamente più tenue rispetto a quanto raccontato. Mi sono comunque divertito a scriverlo, soprattutto sono soddisfatto della parte conclusiva che rappresenta un po’ la quadratura del cerchio di questa prima fase. Credo che proverò un giorno a dare un seguito a quel racconto, magari ritornandoci sopra ad intervalli regolari. Vedremo.

martedì 5 novembre 2013

Quel Demonio di Brunello Rondi

Un tempo amavo molto i film demoniaco/esorcistici. Purtroppo però - sarà perché il genere già di per sé consente poche variazioni sul tema, sarà perché ho visto troppe pellicole diaboliche sì, ma solo nella banalità delle storie raccontate in maniera trita e ritrita - ad un certo punto mi sono venuti terribilmente a noia, ed è curioso che ora a farmi recuperare un minimo di entusiasmo per questo genere non sia uno dei più recenti blockbuster a tema, ma un film che ha la bellezza di cinquant’anni…
Ho avuto finalmente l’occasione di vedere “Il Demonio”, il film del 1963 di Brunello Rondi, tra i primi in Italia in questo particolare filone dell’horror e che precede “L’Esorcista” di William Friedkin di ben dieci anni. 
Se quest'ultimo è il film più famoso in assoluto, non si può dire che abbia inventato nulla, nemmeno sul piano della messa in scena (tra l’altro "L'Esorcista" si basa sull’omonimo romanzo di William Peter Blatty del 1971, molto bello, mi dicono, ispirato ad una supposta possessione demonica verificatasi nel Maryland nel 1949). 
Nel parlare de “Il Demonio”, vedremo che alcune soluzioni visive riprese da altri film lì erano già presenti e, pur senza l’ausilio di effetti speciali, rese in maniera molto efficace. Pur senza eccessi visivi, e basandosi quasi interamente sull’intensa interpretazione di Daliah Lavi (la protagonista di “La frusta e il corpo”), questo film riesce comunque a risultare disturbante e, a tratti, a far letteralmente accaponare la pelle.
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