lunedì 9 aprile 2012

E se fosse vivo?

Ho già affrontato, seppur marginalmente, il tema del “sepolto vivo” in uno dei miei post dello scorso anno, quello dove ho riportato la notizia del ritrovamento dei resti di una possibile vampira in quel di Venezia.Tra l’altro quello è il post che, guardando le statistiche del blog, sta riscuotendo il maggior successo. Sembra incredibile ma la vampira veneziana ha raccolto tanti click quanti ne hanno raccolti finora tutti gli altri post messi assieme. Mi chiedo come sia possibile.. secondo me c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe nel sistema di conteggio. Possibile che il tema del vampiro sia così gettonato di questi tempi? Anyway. Il tema del sepolto vivo, stavo dicendo è tornato agli onori della cronaca per via di un articolo apparso un paio di settimane fa sul sito della BBC. Protagonista della vicenda un tale di nome Jack Froese, deceduto nel giugno 2011, all'età di 32 anni, a causa di un attacco cardiaco. Ma iniziamo con una premessa..... chi ha mai sentito parlare di tafofobia? Con questo impronunciabile termine viene indicata la paura di venire sepolti vivi. Alla fine dell’Ottocento vi fu tutta una letteratura medica riguardante questa discutibile“patologia”, che in realtà si basava praticamente sul nulla, non essendo mai stati accertati casi di sepoltura prematura al di fuori del contesto fantastico. 

Erano gli anni di Edgar Allan Poe e di alcuni dei suoi scritti più famosi: tra questi “La sepoltura apparente”, “Il barile di Amontillado” e “Il crollo della casa degli Usher” contribuirono non poco al diffondersi della tafofobia. La rivista belga “Le Radical” riportava in quegli anni, tra le centinaia di testimonianze sull'argomernto, la seguente storia: il 27 gennaio (1901), uno scalpellino andò in un cimitero di Gand per smuovere una pietra, che chiudeva una apertura la quale dava accesso in un sotterraneo, allo scopo di preparare per una inumazione. Mossa la pietra l’operario la mise da un lato e volle discendere nella fossa, ma indietreggiò. Spaventato da un orribile spettacolo: sui gradini della scala interna della tomba giaceva il cadavere di una giovinetta: in fondo alla sala v’era una bara aperta. L’operaio andò ad informare subito il guardiano del cimitero: dalle prime constatazioni fatte risulta che la giovane si trovava in stato di letargia allorché fu sepolta; svegliandosi, essa riuscì a rompere la cassa, ma non poté uscire dalla tomba, perché la pietra cementata resistette a tutti si suoi sforzi: non essendo state intese le sue grida disperate, la poveretta morì di fame, rompendosi le dita sulla pietra che la divideva dal mondo dei viventi.

Il conte polacco Karnice-Karnicki, curiosa figura di scienziato e filantropo, nel 1899 comunicò il risultato dei suoi studi in base ai quali negli ultimi duemila anni, in Europa, si sarebbero avute circa 4 milioni di inumazioni premature. Un fenomeno che proseguirebbe in pieno Novecento, e il dott. Henry de Varigny spiega come mai questo succeda anche nella civilissima Francia: “Negli ospedali i medici non intervengono mai per la constatazione dei decessi, che sono fatti dagli infermieri. Spesso, nelle campagne, ma anche in grandi città, delle persone sono dichiarate morte in base alla dichiarazione di un familiare o di una persona qualunque. E spesso succede che il medico, trovando il paziente in gravi condizioni, rilasciava in anticipo un certificato di morte, che i familiari devono completare aggiungendo l’ora e il giorno" (Hanry Varigny, Mort véritable et fausse mort, Paris 1929). Un medico che non è in grado di salvare un malato evita di trovarsi accanto a lui dopo che ha esalato l’ultimo respiro visto che, come si usava dire all’epoca, “non sta bene che un medico visiti un morto” (Dictionnaire des science medicales, Paris 1818).
Per prevenire simili tragici errori, il conte Karnice-Karnicki ideò un apparecchio che “si applica alla tomba ed è in comunicazione col defunto per mezzo di un tubo. Internamente al tubo vi è un’amina di acciaio che termina, dentro al feretro, con una palla, la quale corrisponde allo sterno del cadavere, a 5 centimetri di distanza in altezza; dall’altro lato, a un metro fuori terra, l’anima e il tubo terminano in una cassetta speciale che contiene il maccanismo. L’apparecchio funziona al minimo movimento di pressione o trazione del presunto morto, e fa scattare un congegno, il quale fa aprire la cassetta dell’apparecchio, fa sollevare al di sopra della toma un’asta sormontata da una sfera metallica, visibile ad una certa distanza, dà l’allarme, mettendo in azione una potente soneria, lascia entrare aria pura nella cassa e un po’ di luce, e premette al defunto di conversare con i vivi per mezzo del tubo che serve anche da portavoce. L’apparecchio si applica su qualunque cassa, lasciando un apertura rotonda sul coperchio, in direzione dello sterno, su questa apertura si avvita l’otturatore dell’apparecchio; il tubo s’incastra nell’otturatore, il cui coperchio è rialzato, e si chiude automaticamente quando si toglie il tubo. Naturalmente, se il defunto si ridesta, per salvarlo bisogna togliere la terra ed aprire la cassa. Se non viene dato l’allarme, dopo alcuni giorni, si leva l’apparecchio senza smuovere la terra, e si riempie il buco dove si trovava il tubo; l’apparecchio si disinfetta e può servire subito per un’altra tomba" (Arcangelo Creazzo, Studio su la morte apparente e la morte reale, Roma, 1913).
Oggi il pericolo di venire sepolti vivi è impensabile. Ne resta tuttavia intatto il terrore, tanto che il cinema ancora oggi fa spesso leva sulla tafofobia. E’ il caso del recente “Buried”, diretto nel 2010 da Rodrigo Cortés, nel quale si narra di un camionista che si risveglia improvvisamente in una bara, sepolto vivo, armato solamente di una matita e con l'ausilio della luce di un accendino e del display di un cellulare. L’argomento è stato inoltre preso a prestito più volte da Quentin Tarantino, che ha prima seppellito viva Uma Thurman, eroina del suo "Kill Bill Vol.II" e sul quale, poi, ha interamente costruito il plot di “Grave Danger”, l’episodio da lui diretto per la serie CSI.
Ma torniamo a Jack Froese, cioè a colui che mi ha dato spunto per questo post. Lo scorso novembre, cinque mesi dopo la sua morte, il suo migliore amico Tim Art ha ricevuto una email niente meno che dall’account del defunto: “Una notte di novembre me ne stavo tranquillamente seduto sul mio divano a leggere le mail sul mio cellulare quando, tutto ad un tratto, un nuovo messaggio fece capolino nella mia inbox: il mittente era Jack Froese. L’oggetto del messaggio era ‘I’m watching’. Ma fu il testo del messaggio che mi fece rabbrividire. Diceva: ‘Did you hear me? I'm at your house. Clean your f***ing attic!!!’ Il riferimento era ad una conversazione di cui solo io e lui eravamo a conoscenza: proprio pochi giorni prima della sua morte infatti Jack, mio unico ospite quella sera, mi invitò a mettere in ordine il mio appartamento.”
Jimmy McGraw, un cugino di Jack, sostiene anch’esso di aver ricevuto una mail da Jack.” Il messaggio diceva ’I knew you were going to break your ankle, tried to warn you, gotta be careful.’ Faceva riferimento ad un infortunio  in cui sarei occorso qualche tempo dopo la morte di mio cugino.”
Il fatto unico e interessante di questi episodi sono i riferimenti a fatti personali dei quali nessun burlone, in vena di scherzi macabri, avrebbe potuto essere a conoscenza. Inoltre, qualunque tentativo di tracciare l’indirizzo IP del mittente, non ha avuto alcun successo. Chi è stato quindi ad inviare quei mesaggi? E’ stato lo stesso Jack Froese? E’ stato il suo fantasma oppure Jack Froese è ancora vivo e, nascosto da qualche parte, si diverte a perseguitare i suoi cari? E se si fosse risvegliato nella bara, come nel più classico dei racconti e Edgar Allan Poe? (certo che dopo tanti mesi questa ipotesi sarebbe davvero improbabile visto che l’aria presente in una bara è sufficiente solo per pochi minuti). Ad ogni modo, come il protagonista di “Buried”, venire seppelliti con il proprio cellulare potrebbe essere un opzione da non trascurare: diciamo che è la versione moderna di cavi, tubi e campanelli. Nel dubbio, il giorno (spero lontano) in cui qualcuno dei miei cari si dovesse prendere la briga di seppellirmi, mi piacerebbe che mi lasciasse con me il mio Blackberry. Chissà però se ci sarà segnale laggiù a due metri sotto terra? Sarebbe una beffa atroce….
Per coloro che invece desiderano terrorizzare i propri cari dopo la morte (e capace che Jack Froese sia stato uno di questi) segnalo il sito Dead Man's Switch, che permette di scrivere messaggi “postumi” ad amici e parenti, conservandoli momentaneamente nelle “bozze” fino al momento della morte. Il meccanismo è semplice: si crea un messaggio, si selezionano i destinatari e si salva il tutto senza spedire. Il sito, ad intervalli prestabiliti, manderà al mittente via email un promemoria ai quali si dovrà rispondere semplicemente cliccando su un link. Se verranno ignorati 3 promemoria consecutivi il sito, presupponendo la morte del titolare dell’account, invierà le mail del “defunto” a tutti i destinatari.
Simpatico, no? Beh, certo, se non ci fosse la morte di mezzo.....

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