domenica 4 marzo 2012

Caro amico ti scrivo

..così mi distraggo un po', caro Lucio. Diciamo che non sono mai stato un tuo grande fan. Credo di essere assolutamente all'oscuro di ciò che tu abbia fatto negli ultimi 30 anni, ma di questo immagino che a te non ne te possa fregare di meno. C'è stato comunque un momento della mia vita nel quale la tua musica mi ha fatto da colonna sonora e, ricordo con piacere (oggi ahimè con un pizzico di nostalgia) i momenti di indimenticabile poesia che mi hai regalato.
Erano i primi anni Ottanta. Ero molto giovane, avevo iniziato le scuole superiori. Già in precedenza mi era capitato di ascoltare qualcosa di tuo, come naturalmente era inevitabile visto che la tua allora recente hit "Ma come fanno i marinai" passava alla radio di continuo. Solo molto più tardi avrei scoperto l'album "Banana Republic" per intero, che segnò l'inizio della mia "passione" verso le canzoni del tuo collega cantautore, Francesco De Gregori, che realizzò l'album a quattro mani con te. Lo ammetto, ho sempre preferito la musica di De Gregori. Sarebbe falso sostenere il contrario. E sarebbe patetico dire che rimpiango di non averti seguito di più. Cose che capitano, dai! Ma il bello della musica è che essa sopravvive alle persone e, grazie a questo, posso pensare di aver sempre la possibilità un giorno di poter recuperare qualcosa, anche se poi probabilmente non lo farò perché sono pigro.
Anzi, è sicuro che non lo farò, perché secondo me la musica è legata a dei momenti e, volenti o nolenti, siamo in grado di recuperare solo parzialmente quello che si è perso, proprio perché le canzoni, come tante altre cose nella vita, perdono un po' di sapore quando vengono estratte dal loro giusto contesto storico. Di quest'ultima affermazione non sono in realtà convinto al 100%, ma ormai l'ho scritta... stavo per cancellarla ma alla fine ho deciso per il contrario. Per esempio: "Anch'io quante volte da bambino ho chiesto aiuto, quante volte da solo mi sono perduto, quante volte ho pianto e sono caduto. Guardando le stelle ho chiesto di capire, come entrare nel mondo dei grandi senza paura paura di morire". Adesso che nel mondo dei grandi ci sono entrato posso tuttavia trovare ancora il modo di fare mie queste parole, tratte da "Il parco della Luna". Alla fine c'è sempre qualcosa di più grande a cui possiamo aspirare. Per cui, vedete, sono finito subito per contraddirmi: le canzoni non invecchiano (almeno non tutte), le parole di una canzone si possono adattare a tutte le situazioni, basta solo un poco di immaginazione.

Dicevo comunque dei giorni delle scuole superiori all'inizio degli anni Ottanta, Un mio compagno di classe (mai più rivisto dopo il diploma) mi fece ascoltare il tuo album "Dalla", noto ai più per la presenza di due dei tuoi pezzi più famosi: "Balla balla ballerino" e "Futura". Me ne innamorai immediatamente, tanto che in seguito mi sarei comprato sia il 33 giri in vinile, sia la cassettina. Il Compact Disc allora non esisteva e quando anni dopo sarebbe apparso, beh, ammetto che quell'album non era più tra le mie priorità di acquisto.
Non erano però "Balla balla ballerino" e "Futura" le canzoni che preferivo (e che preferisco). Quella che invece ascoltavo e riascoltavo all'infinito si intitolava "Meri Luis".
Seppure ancora studente, già allora mi identificavo completamente con il ragazzo che "lavorava in un bar ed aspettava che il padrone se ne andasse, per potersi sedere" e, tutti i giorni, di ritorno da scuola, sognavo sempre di incontrare "la ragazza con le grandi tette che tutte le sere alle sette un quarto aspettava l’autobus guardando in alto". E che grande momento di rivincita quando, nella seconda parte della canzone, finalmente troviamo il regista che "stanco di aspettare, appena vista la star l’ha mandata a cagare" oppure il ragazzo che "ha lasciato lì di lavorare e, agguantato un treno, è corso fino al mare" o ancora il taxista che "nella macchina non ha il cliente ma una canna per andare a pescare".
Sebbene così giovane avevo quindi già una certa idea di quello che la vita mi avrebbe riservato. Lunghi giorni di lavoro. Poche occasioni di svago. Una serie infinita di personaggi che cercano di darti indicazioni su quello che c'è da fare e su quello che è giusto fare. Mi piacerebbe proprio essere come il ragazzo, il regista o il tassista, ma poi penso al mutuo, stringo i denti, mi tappo il naso e lascio andare.

Ma prima ho parlato di momenti di indimenticabile poesia e qualcuno qui potrebbe chiedersi dove sia. Per quel qualcuno cito un passo di "Cara", dallo stesso album: "Ma so già cosa pensi, tu vorresti partire / come se andare lontano fosse uguale a morire / e non c'è niente di strano ma non posso venire. / Così come la farfalla ti sei alzata per scappare / ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare / se non fossi uscito fuori / per provare anch'io a volare. / E la notte cominciava a gelare la mia pelle / una notte madre che cercava di contare le sue stelle. / Io li sotto ero uno sputo e ho detto "olé sono perduto". / La notte sta morendo ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo", oppure la stessa "Futura", che potrebbe far nascere un desiderio di paternità anche ad un cadavere: "E chissà come sarà lui domani / su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani / si muoverà e potrà volare / nuoterà su una stella / come sei bella / e se è una femmina si chiamerà Futura / Il suo nome detto questa notte mette già paura / sarà diversa bella come una stella / sarai tu in miniatura"

Vedi caro amico cosa si deve inventare per poterci ridere sopra, per continuare a sperare?

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