mercoledì 27 luglio 2011

A porta inferi

Mi è venuta in mente in questi giorni una cosa che mi diceva sempre mia madre quando dicevo o facevo una stupidata e voleva mandarmi a quel paese. Mi diceva “Ma va’ a Porta Infari”. Ho voluto cercare di capire cosa intendesse e ho raccolto qualche notizia qua e là. Innanzitutto la mia memoria mi ingannava o forse era mia madre a storpiare la parola “Inferi” con “Infari”. La frase avrebbe dovuto essere infatti “Ma và a Porta Inferi”.

Porta Inferi è naturalmente la soglia infernale (diciamo quindi che più che "a quel paese" mia madre intendeva "mandarmi al diavolo") e per trovarne dei riferimenti bisogna avventurarsi nell'intricato mondo della religione cattolica, dove si scoprono sempre tante cose interessanti.

Chi ha letto il mio post di qualche mese fa, dedicato all'allucinante storia di Papa Formoso, potrà leggere dell'ironia nella frase precedente. Io effettivamente non sono uomo di fede. Solo solamente una persona curiosa, a cui basta un piccolo spunto per prendere e partire, per approfondire e capire (o perlomeno cercare di farlo). In questo caso mi devo avventurare in alcuni passi biblici che, se letti con occhi analitici (privi cioè delle classiche fette di salame) possono rivelare cose... interessanti. Sì, lo so, ho già usato prima l'aggettivo "interessante". Avrei potuto usarne un altro ma preferisco così.

lunedì 25 luglio 2011

Dark Places

I have a meanness inside me, real as an organ. - "Ho della cattiveria in me, reale come un organo. Mi dilania il ventre e può scivolare a terra, carnosa e scura, tanto da poterla calpestare. E’ il sangue dei Day. Ha qualcosa che non va. Non sono mai stata una brava bambina e sono peggiorata dopo gli omicidi. Libby l’orfanella è cresciuta apatica e smidollata, trascinandosi a fatica da un gruppo di lontani parenti all’altro – secondi cugini, prozie, amici di amici -, rinchiusa in una serie di roulotte o fattorie fatiscenti in giro per il Kansas. …”.
Questo è l'incipit di "Dark Places", in italiano edito da Piemme con il titolo "Nei luoghi oscuri", che ho avuto l’occasione di leggere, nella versione originale inglese, in queste caldi giornate di luglio.
L’autrice è Gillian Flynn, già autrice del pluripremiato “Sharp Objects”, che ci racconta, in una trascinante postfazione, di essere cresciuta a Kansas City, nel Missouri, “dove in 20 minuti di macchina si arriva in aperta campagna, fra campi coltivati a granturco e frumento”. Per saperne di più vi rimando al sito ufficiale dell’autrice.

venerdì 22 luglio 2011

La villa del bambino urlante

Mi capita talvolta di passare da Torino. A volte per lavoro, altre volte semplicemente per il semplice gusto di passare qualche ora tra le vie del centro. Torino è una città affascinante, specie nelle serate d’inverno, con la nebbia, con i tram che sferragliano sulle strade, con la gente frettolosa che sparisce negli androni di via Vanchiglia, che si ferma a prendere un caffè sotto i portici di piazza San Carlo, che si accoda annoiata ai semafori di Corso Belgio o di Corso Regina Margherita, gente che affitta camere nei piccoli alberghetti attorno alla stazione di Porta Nuova o solitari spettatori dei cinema d’essai di periferia. Tutte cose apparentemente normali ma che a Torino contribuiscono a rendere l’atmosfera un po’ sinistra, dandomi quel senso di leggera oppressione e di indefinito disagio che tutto sommato appare piacevole. Per che vivo da tutt’altra parte Torino è come una calamita. Difficile non rimanerne attratti.
Torino d’altra parte è universalmente nota come la città dei misteri, la città delle streghe, la porta d’accesso a mondi sconosciuti. Non sto parlando solo della famosa leggenda che indicherebbe l’accesso agli inferi essere in corrispondenza del monumento sito al centro di Piazza Statuto. Si tratta di altro. Tutto un insieme di piccoli segnali, di strane forme, di bizzarre figure che si possono incrociare ad ogni angolo. Impossibile spiegare. Forse è solo una cosa mia… mah.
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